Un masso cilindrico della dimensione di una ruota d’automobile è rimasto intrappolato in una pila di tronchi che i forestali avevano disposto di traverso lungo il pendio: un ultimo, breve tratto in discesa e sarebbe finito sulla strada del passo del Forno, non lontano dall’uscita del villaggio di Zernez (GR). La sua corsa avrebbe però potuto essere arrestata anche da un albero cresciuto in una fitta foresta. "Niente di più probabile", esclama Gian Cla Feuerstein dell’Ufficio foreste e pericoli naturali del Canton Grigioni. "I tronchi che abbiamo disposto in alcuni punti a mo’ di sbarramento, rappresentano solo un provvedimento di sicurezza supplementare."

Fino a poco tempo fa Gian Cla Feuerstein non avrebbe saputo dire con certezza se la protezione offerta dalla foresta contro la caduta di massi fosse sufficientemente efficace. "In base alla topografia del terreno e alla densità del popolamento boschivo presente e con la mia esperienza di ingegnere forestale avrei detto di sì, ma non ci avrei messo la mano sul fuoco". Per questo motivo fino a qualche anno in questo punto della strada del passo sarebbero state costruite delle reti paramassi: una misura sicura ma onerosa, considerato che una rete di questo genere costa fino a 2500 franchi al metro.

Il progetto "Protect Bio"

Curare il bosco è nettamente meno oneroso. Tuttavia riesce la foresta garantire un livello di sicurezza analogo a quello offerto da provvedimenti di tipo tecnico? È per rispondere a questo genere di domande che l’UFAM ha lanciato il progetto "Efficacia delle misure di protezione biologiche", abbreviato in Protect Bio. Il metodo elaborato permette di determinare l’azione delle foreste e l’effetto di altre misure biologiche e di tenerne opportunamente conto nei progetti di protezione.

L’occhio del geologo

La valutazione di un rischio di caduta massi comincia guardando indietro nel tempo. Cosa è successo nel corso degli ultimi anni o decenni? In genere ci si ricorda solo degli incidenti spettacolari o che hanno provocato danni. Dei distacchi di materiale che avvengono quotidianamente – dal sassolino, alle pietre grosse come un pugno capaci di trapassare il tetto di un’auto – ne sanno qualcosa gli operai stradali che devono sgomberare regolarmente le carreggiate. Altrimenti, a testimoniare eventi di questo tipo restano solo gli intagli e i rappezzi sull’asfalto.

Sulle imponenti pareti rocciose che si innalzano sopra la strada del passo del Forno, la zona di distacco potenziale si estende per 600 metri di dislivello fino a 2100 metri sul livello del mare. In certi punti la pendenza del terreno è ben superiore ai 45 gradi. "Il nostro lavoro consiste in primo luogo nel fare una ricognizione della zona e osservare attentamente la roccia", spiega Andreas Huwiler, geologo presso l’Ufficio Foreste e pericoli naturali del Canton Grigioni. La roccia in superficie non forma un agglomerato omogeneo. Bisogna piuttosto immaginarla come una massa sottoposta a enormi forze, che come una tavoletta di cioccolato risulta facile da spezzare. Quando le tensioni diventa troppo forte rispetto alla resistenza del materiale, si formano delle spaccature.

Anche l’interno è solcato da crepe. Per farsene un’idea, gli specialisti cercano sulla superficie degli indizi – pareti di diverso orientamento, ad esempio – che possano rivelar loro cosa avviene all’interno della roccia. È da queste indagini di geologia strutturale che si traggono poi gli scenari utilizzati per la valutazione del pericolo di caduta massi

Ulteriori informazioni sono fornite dagli eventi passati: dove si sono fermate le pietre che si sono staccate dalla parete? Quanto erano grosse? In che modo il terreno ha influenzato la loro corsa? Le informazioni fornite da questi testimoni muti sono poi riportate su una «carta dei fenomeni» che mostra la probabile localizzazione e frequenza dei distacchi.

Dalla ricognizione alla simulazione …

Il catasto degli eventi, la carta dei fenomeni e gli scenari tratti dalle osservazioni geologico-strutturali descrivono i processi "con un grado di precisione sufficiente, ma mai con l’esattezza di un modello matematico2, precisa Andreas Huwiler.

Gli ingegneri chiamati a riprendere la mano devono dunque convivere con questo margine di incertezza residua. Le conseguenze di una caduta di massi vengono dapprima simulate su computer. Grazie a un modello tridimensionale del terreno la macchina calcola la traiettoria e l’energia liberata dalla caduta dei sassi o dei blocchi a seconda della loro dimensione. Il software di simulazione ripete poi questi scenari finché gli eventi modellizzati possono essere esaminati statisticamente, il che può significare dopo qualche migliaia di cadute virtuali

… fino all’adozione delle misure necessarie

Una volta ottenuti i risultati sta all’ente esecutore definire le misure tecniche che si impongono. L’eventuale concessione di contributi pubblici e il loro importo è invece una decisione di natura politica.

Per il tratto di strada presso Zernez si è in ogni caso deciso così: lo si proteggerà contro un evento che potrebbe con tutta probabilità avvenire ogni 30 anni, ma non si costruiranno nuove opere per proteggerlo contro eventi più rari.

Se ci si fosse basati sulle valutazioni precedenti, che spesso trascuravano l’azione protettiva delle foreste poiché questa non era sufficientemente quantificabile, a quest’ora si sarebbero realizzate delle reti paramassi o costruite dighe di protezione lungo buona parte del troncone stradale.

Reti di protezione contro la caduta di massi superflue?

Grazie al metodo Protect Bio è invece possibile visualizzare l’effetto delle misure biologiche di protezione e tenerne adeguatamente conto nella valutazione del rischio. Nella simulazione fatta per determinare la capacità di ritenzione del bosco sono infatti integrati anche la declività del terreno, la densità degli alberi presenti ed altri fattori.

Nel caso della strada del passo del Forno i risultati ottenuti sono sorprendenti: su circa la metà del tratto interessato dallo studio le reti paramassi sono inutili. Esse sono necessarie solo laddove il bosco è rado. I tronchi disposti trasversalmente al pendio sono peraltro decisamente più economici: gli unici costi sono quelli connessi con l’abbattimento degli alberi.

Il valore del bosco di protezione

Di tutta la superficie forestale svizzera, circa la metà – 585 000 ettari – è classificata bosco di protezione. Dopo essere stato trascurato per decenni, ha cominciato a essere rivalutato negli anni Novanta. Da allora la tendenza si è invertita e la Confederazione, i Cantoni e i Comuni ne promuovono la cura con contribuiti pari a circa 150 milioni di franchi all’anno.

Denaro ben investito: il valore economico dei boschi di protezione è quantificato in 4 miliardi di franchi. Si tratta soprattutto di ringiovanire i popolamenti boschivi invecchiati o uniformi e, laddove ciò non sia possibile, sostenerne l’effetto protettivo con misure tecniche mirate che però, come mostra Protect Bio, non sono sempre necessarie.

Messo a punto in Svizzera, questo metodo è il primo nel suo genere: all’estero non esiste nulla di comparabile. Secondo Arthur Sandri della sezione Frane, valanghe e bosco di protezione dell’UFAM, una sua applicazione sistematica su scala nazionale dovrebbe permettere di evitare il ricorso a misure di tipo tecnico e risparmiare così diverse decine di milioni di franchi che andrebbero a valorizzare ulteriormente il bosco di protezione.

Non siamo tuttavia ancora a questo punto. Mancano ad esempio le basi necessarie per valutare gli effetti protettivi difficilmente quantificabili assicurati dal bosco di protezione contro altri pericoli naturali quali valanghe, frane e colate detritiche. Nei prossimi anni Protect Bio sarà perciò impiegato in altri siti, specie in relazione a questi pericoli naturali, al fine di poterne confermare la validità. Solo allora questo procedimento potrà essere standardizzato e generalizzato

Traduzione: Fulvio Giudici, Sant’Antonino