Una gran parte dei boschi protettivi presenti nelle Alpi è composta da soprassuoli di abete rosso e di abete bianco, di peccate subalpine e, nella parte più interna delle Alpi, da boschi di larice e di pino cembro. Attualmente si ritiene che le foreste di montagna che offrono maggiore resistenza contro le tempeste ed i carichi di neve pesante debbano presentare le seguenti caratteristiche:

  • struttura verticale ed orizzontale non uniforme (irregolare)
  • composte da alberi di diverse classi d’età (disetanee)
  • essere formate da collettivi composti da diversi individui raggruppati tra di loro (formazioni arboree che in tedesco prendono il none, intraducibile, di “Rotten”)
  • presenza di rinnovazione vigorosa e ben distribuita.

Boschi con queste caratteristiche dovrebbero essere in grado di soddisfare in modo duraturo le funzioni a loro attribuite come ad esempio la protezione contro gli eventi naturali. In effetti, sulla base delle conoscenze attualmente disponibili, i soprassuoli ben strutturati e composti da alberi con diametri di tutte le taglie sono quelli che offrono a lungo termine anche la migliore protezione contro la caduta di sassi.

Oggigiorno vi sono molte peccate uniformi

Nelle Alpi svizzere vi sono attualmente molte foreste di abete rosso che per motivi di ordine economico (costi superiori ai ricavi) da decenni non sono più gestite. Sui pendii che in passato venivano dissodati, tagliati a raso, oppure che restavano temporaneamente privi di vegetazione arborea a seguito di incendi boschivi o di tempeste, oggi crescono spesso soprassuoli di abete rosso uniformi. Anche su altre stazioni boschive che in passato erano intensamente pascolate, pratiche che in seguito sono state abbandonate, si sviluppano peccete composte da soprassuoli assai densi ed omogenei. Se popolamenti simili sono abbandonati a sé stessi e si sviluppano senza essere diradati, è probabile che la loro struttura su certe stazioni finisca per peggiorare (alberi con indici di snellezza troppo elevati o con chiome corte e poco sviluppate, ecc.) finendo infine per perdere la loro resistenza in caso di tempeste o di carichi di neve eccessivi.

L’obiettivo da perseguire: costituire delle foreste montane disetanee

In foreste di questo genere l’esecuzione di una serie pianificata d’interventi selvicolturali persegue in genere l’obiettivo di convertire progressivamente i soprassuoli, a dipendenza delle condizioni iniziali sull’arco di un periodo che va dal medio (da 20 a 50 anni) al lungo termine (da 50 fino a 150 anni), in foreste disetanee irregolari gestibili secondo il principio dei tagli a scelta (un tipo di foreste che in tedesco prende il nome di "Gebirgsplenterwälder"). Se questo procedimento è chiaro dal punto di vista concettuale, la sua realizzazione pratica è finora stata poco sperimentata. E’ lecito pertanto porsi la domanda, se eseguendo degli interventi di diradamento sia effettivamente possibile trasformare dei soprassuoli composti da formazioni di abete rosso dense ed uniformi con chiome piccole in peccate montane che presentano le caratteristiche delle foreste disetanee irregolari.

Monitoraggio a lungo termine di foreste sperimentali

Un progetto di ricerca dell’istituto federale di ricerca WSL persegue lo scopo di documentare e di studiare gli effetti a lungo termine di interventi selvicolturali mirati adottati su "soprassuoli problematici" che presentano determinate condizioni stazionali. Tra il 1993 ed il 1998 i ricercatori, in collaborazione con i servizi forestali locali, hanno allestito quattro nuove aree di osservazione a lungo termine all’interno di soprassuoli uniformi e densi di abete rosso delle Alpi svizzere e del Liechtenstein. Queste foreste sperimentali, che si trovano a quote variabili tra i 1’360 e i 1’620 metri s.l.m., sono localizzate a Plasselb (FR), Triesenberg (FL), Elm (GL) e Siat (GR). Ognuna di queste aree comprende pure una superficie testimone di controllo, che non è stata oggetto di trattamenti selvicolturali. Il monitoraggio a lungo termine dovrebbe permettere di rispondere ai seguenti interrogativi:

  • come si modificano a seguito dei diradamenti i diversi parametri che caratterizzano la struttura dei soprassuoli?
  • le aree trattate si sviluppano veramente nella direzione auspicata e si rinnovano maggiormente rispetto ai soprassuoli vicini che non hanno subito trattamenti selvicolturali?
  • si riesce a convertire progressivamente le peccete uniformi in soprassuoli stabili disetanei composti da formazioni irregolari strutturate a mosaico?

Conoscenze finora acquisite

I primi risultati delle ricerche mostrano che tra i diversi parametri esaminati la distribuzione spaziale degli alberi (indice di aggregazione RC&E), la densità del soprassuolo (Stand Density Index SDI) ed il coefficiente di snellezza (rapporto h/d) sono quelli che reagiscono in maniera più sensibile agli interventi selvicolturali. Essi sembrano quindi essere degli indicatori idonei per esaminare la risposta dei soprassuoli al trattamento colturale prescelto. Questo è dovuto al fatto che questo genere di parametri è influenzato direttamente dal cambiamento del numero di alberi e dalla distribuzione spaziale degli individui arborei prelevati durante i diradamenti. La lunghezza delle chiome ed il cosiddetto „coefficiente di omogeneità“ reagiscono invece in modo meno percettibile e sono pertanto meno indicati per evidenziale gli effetti dei trattamenti sul breve periodo.

Sulla base di questi primi risultati si può affermare che, partendo da differenti situazioni iniziali, è possibile influenzare le strutture dei soprassuoli di abete rosso, indirizzandole verso tipologie forestali disetanee e meno uniformi. Gli effetti a lungo termine di questi interventi di conversione potranno invece essere valutati unicamente dopo avere eseguito diversi rilevamenti successivi.

Traduzione: Fulvio Giudici, Camorino